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sabato, 23 Novembre 2024
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Audiogramma, perché non è l’unico criterio per gli apparecchi acustici

Audiogramma e apparecchi acustici, cosa c’è che non va?

In Danimarca è stato avviato di recente un progetto di ricerca sul possibile miglioramento dell’uso degli apparecchi acustici che mette in discussione la pratica diffusa fra gli Audioprotesisti di basarsi sostanzialmente sull’audiogramma per l’adattamento dell’apparecchio all’udito del paziente.

Obiettivo del progetto, cui partecipano sia Università sia Industrie del settore, è di migliorare la qualità delle prestazioni nei confronti di quanti fanno uso di apparecchi acustici.

Come si muoverà la ricerca e cosa vogliono ottenere i ricercatori

«Se hai problemi d’udito – si legge in una nota diffusa dalla Aalborg University – gli apparecchi acustici possono aiutarti a superare il problema. Apparentemente sembra abbastanza semplice ma le cose non stano esattamente così. Si stima che una persona su dieci non trova alcun beneficio negli apparecchi acustici, che spesso e volentieri finiscono di conseguenza nel cassetto

Da questa constatazione nasce il progetto BEAR (in inglese sta per “Orso”, ma evidentemente è soltanto un caso; in realtà è l’acronimo di “Better Hearing Rehabilitation“) che, oltre a un certo numero di università e ospedali, vede anche la partecipazione di Oticon, Widex e GN Resound.

A disposizione per la ricerca che durerà cinque anni, 50 milioni di Corone (6,7 milioni di Euro), una fetta della somma messa sul tavolo da parte delle industrie coinvolte (15 milioni di Corone), mentre Innovation Fund Denmark ha investito nel progetto quasi 29 milioni di Corone.

Lo stato dell’arte, ovvero cosa si fa oggi

Quando insorge un problema d’udito la trafila prevede per prima cosa un audiogramma. Attraverso un test specifico viene realizzato un grafico che in pratica dice quanto un soggetto è in grado di sentire in un range di determinate frequenze.

Tutto questo è corretto, ma avremmo bisogno di maggiori informazioni perché il soggetto possa sfruttare appieno le potenzialità degli apparecchi acustici secondo le proprie personali esigenze.

«In sostanza – spiega il Project Manager Dorte Hammershøi, Professore presso la Aalborg University – l’audiogramma è una descrizione piuttosto semplicistica di come funziona l’udito di una persona. Si può avere, per fare un esempio, una soglia uditiva giudicata normale, ma riscontrare difficoltà a capire cosa viene detto quando nella stessa stanza ci sono parecchie persone che parlano contemporaneamente

 

La realtà è che oggi gli Audioprotesisti si basano quasi esclusivamente sull’audiogramma per per far sì che il paziente si sintonizzi sulla lunghezza d’onda giusta, per così dire, dei suoi apparecchi acustici.

Purtroppo questo significa trascurare altri importanti parametri, come appunto la capacità di “comprendere” le parole in un ambiente affollato e rumoroso.

Paradossalmente la pubblicità insiste invece proprio su questo aspetto del sentirci bene in un ambiente rumoroso, cosa non del tutto veritiera (a essere benevoli!) per l’uso che si fa degli apparecchi acustici non perfettamente “tarati” sul paziente.

Va bene la ricerca danese, ma in Italia come viene affrontata la questione?

Ho interpellato a questo proposito un Audioprotesista di cui mi fido, Francesco Pontoni dell’Istituto Acustico Pontoni, il quale mi ha illustrato come ci si comporta a casa nostra.

Ed ecco di seguito la sua risposta.

«Gran parte degli algoritmi prescrittivi delle case produttrici di apparecchi acustici si basano principalmente sulla audiometria tonale per via aerea. Pontoni

Negli ultimi anni ci si è accorti che questo è un enorme limite perché la stessa audiometria su due persone diverse può essere accettata benissimo da una, e malissimo da un’altra, proprio perché sentiamo con le orecchie ma capiamo con il cervello. Quindi non ha senso lavorare con la stessa amplificazione su persone diverse.»

Come fare allora?

«Negli ultimi anni gli algoritmi prescrittivi si stanno evolvendo in questa direzione, infatti adesso stanno tenendo in considerazione:
• l’esame audiometrico per via ossea (tutte le aziende)
• l’età (tutte)
• l’esame audiometrico vocale (qualche azienda, ma in un modo che comunque non ci aiuta a migliorare l’ascolto realmente, ma è un primo passo)
• la preferenza di ascolto della persona (qualche azienda).»

Possiamo quindi dire che c’è una maggiore attenzione al problema?

«Si fanno passi in avanti, ma tutte le aziende continuano comunque a lavorare sulla statistica. Prendono un numero molto alto di pazienti e cercano un’amplificazione che possa andare bene per quelle caratteristiche (come abbiamo detto, audiometria tonale, età, preferenza di ascolto ecc…).

Però questo ovviamente non basta, perché ogni persona si discosta di molto da queste statistiche, proprio perché il cervello di un individuo è molto differente da qualsiasi altro.
Posso dire che siamo molto lontani dal trovare degli algoritmi prescrittivi idonei e personalizzati per ogni paziente, penso sia il vero tallone d’Achille delle protesi acustiche al giorno d’oggi.»

Buona giornata!

[by Acufeni, che fare?]

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