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mercoledì, 27 Novembre 2024
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INTERVENTO FONIATRICO INTEGRATO NELL’AUTISMO E SINDROMI CORRELATE

L’autismo è una “condizione medica”, non un semplice disturbo mentale, ed è caratterizzato da una serie di disabilità riferibili a tutti e quattro i versanti (percettivo, cognitivo-integrativo, emotivo-relazionale-comportamentale, motorio-prassico-espressivo) del profilo comunicativo di un individuo, piuttosto che alla sola sfera psicologica.
Questo è uno dei capisaldi ai quali ispiriamo il nostro lavoro di diagnosi e terapia nell’ambito della sindrome autistica che vediamo, appunto, come una malattia del corpo, avente un’origine multifattoriale, differente se non da caso a caso, da gruppi di casi a gruppi di casi, coinvolgente diversi sistemi ed apparati, i più noti (ma forse non unici) dei quali, attualmente risultano essere il sistema nervoso, l’apparato digerente, i sistemi immunitario ed endocrino.
Una ancora numerosa parte dei ricercatori non vede questa sindrome in un’ottica medica, ma continua ad interpretarla secondo una visione psicodinamica, limitando di conseguenza le possibilità di intervento rimediativo nei confronti di una patologia la cui sempre più evidente complessità patogenetica e clinica richiederebbe provvedimenti terapeutici altrettanto diversificati ed articolati.
Ribaditi i caratteri distintivi dell’autismo, identificabili in un esordio dei sintomi entro i trenta mesi di vita, nella mancanza di apertura comunicativa e di contatto con altre persone, nella tendenza all’isolamento, nell’assenza o nelle forti distorsioni delle abilità linguistiche, nella presenza di stereotipie e, talvolta, di auto- e/o etero- aggressività, ricordiamo anche che attualmente sono descrivibili due diverse modalità di esordio della sintomatologia autistica: quella che prevede un bambino che sin dai primi mesi di vita si mostra isolato nei confronti del mondo che lo circonda, e quella in cui il bambino, dopo 15-20 mesi di sviluppo relazionale, comunicativo e verbale normale, inizia a regredire, cominciando ad isolarsi, a rifiutare il contatto con gli altri, e a perdere le acquisizioni verbali già raggiunte. Questa seconda forma viene solitamente definita “autismo regressivo”, termine che noi non condividiamo, in quanto non è (purtroppo) regressivo l’autismo, bensì lo sviluppo comunicativo, relazionale e verbale del bambino.
Quale che sia la tipologia di insorgenza della malattia, possiamo affermare che la sintomatologia più eclatante e quella per la quale viene richiesto -a giusta ragione- l’intervento abilitativo di maggior interesse, è la mancanza di linguaggio. L’esperienza maturata in venticinque anni di attività nel settore, ci autorizzano a ritenere che le possibilità di acquisizione di abilità espressive linguistiche verbali da parte di un soggetto con autismo, non necessariamente richiedono il preventivo raggiungimento di altre capacità quali quelle attentive, cognitive, relazionali. Ciò vuol dire, in altri termini, che non è necessario prescrivere interventi di stampo “non logopedico” prima di dare avvio ad una terapia che miri a lavorare con la verbalità, sulla verbalità e per la verbalità. Ce lo confermano direttamente e indirettamente i risultati che soprattutto in termini di tempo di acquisizione di determinate abilità, hanno dimostrato l’inutilità della pretesa di propedeuticità di altri trattamenti prima di lavorare sul linguaggio.
Dunque, non esiste un “presto” per iniziare ad operare in chiave foniatrico-logopedica su un bambino che non parla, anche se inquadrato nello spettro autistico. Nel contempo non neghiamo l’importanza e l’opportunità di un lavoro “a tutto campo” sui diversi aspetti del profilo comunicativo (aree percettiva, cognitiva, relazionale, e motoria), ma teniamo anche a sottolineare che tale intervento non debba essere visto come una sequenza temporale di tappe successive, ma piuttosto come una realizzazione “simultanea” di momenti abilitativi-riabilitativi, nessuno dei quali da considerarsi preparatorio rispetto agli altri. Ne consegue il concepimento di un modello di terapia che potremmo definire “foniatrico-logopedica allargata”, o “foniatrico-logopedica permeata di altre afferenze” provenienti da quelle discipline ugualmente operanti nella riabilitazione del soggetto autistico, ma a loro volta non comprendenti specificità di competenze linguistiche ed in grado di agire sul linguaggio verbale.
A sostegno ulteriore di questa visione di intervento integrato nell’autismo, potremmo evocare il riscontro di una notevole disomogeneità di quadri clinici nelle diverse modalità di manifestazione di tale patologia, prevalendo, infatti, ora un certo tipo di sintomi, ora altre forme.
Sarebbe pertanto il caso di parlare di “autismi” piuttosto che di autismo, dal momento che in pratica accade di trovarci di fronte a quadri clinici a prevalente componente rispettivamente:
– Comportamentale, nelle situazioni in cui predominano manifestazioni di chiusura accentuata, auto/etero aggressività, iperattività, deficit attentivo…
– Dispercettiva, quando prevalgono sintomi quali l’iperacusia, l’ipersensibilità al dolore, sordità centrale, altre alterazioni sensoriali…
– Disprassica, se sono evidenti soprattutto disartria, impaccio motorio globale e fine, rigidità/ipotonia muscolare…
– Cognitivo-carenziale, nei casi in cui sono riscontrabili insufficienza mentale, difficoltà di comprensione, difficoltà di apprendimento…
Se da un lato è dunque necessario intervenire precocemente e con competenza sul linguaggio verbale, dall’altro si rende opportuno realizzare un lavoro a tutto campo, “a 360 gradi”, su ogni aspetto del profilo comunicativo, indipendentemente dalla prevalenza dei deficit dell’uno o dell’altro, dal momento che nella sindrome autistica c’è sempre una compromissione multipla e variata, di differenti abilità.
La diversità e molteplicità di competenze professionali che riteniamo sia opportuno coinvolgere in un approccio multidisciplinare per il trattamento della sindrome autistica, deve però avere un requisito comune a tutte le componenti chiamate in causa: la capacità di operare ai fini del raggiungimento del linguaggio verbale, con un bagaglio di conoscenze che sia superiore a quello che attualmente le diverse scuole di formazione offrono ai vari laureati in psicologia, neuropsicomotricità, pedagogia, e così via inoltrandoci in tutte le discipline che indirizzano i loro diplomati verso il mondo della riabilitazione.
Questa considerazione fa da presupposto ad uno degli aspetti principali delle modalità preparative alle nostre strategie di intervento terapeutico nell’autismo, ossia la formazione specifica e mirata del personale da impegnare nella realizzazione dei protocolli abilitativi.
La consapevolezza della necessità di un intervento abilitativo precoce, intensivo, adeguato, continuativo anche in rapporto con la famiglia e la scuola, sfocia nella necessità di formare e aggiornare continuamente il personale da impegnare in questa modalità di lavoro.
E’ nata così l’iniziativa di istituire incontri periodici di formazione permanente per logopedisti, psicomotricisti, pedagogisti, psicologi, insegnanti di base, insegnanti di sostegno, ed altri operatori della riabilitazione, tutti accomunati nella partecipazione ad un percorso organizzativo ed istruttivo finalizzato all’esposizione, alla ridefinizione continua, all’aggiornamento costante di quei protocolli necessari per abilitare un soggetto autistico nelle nostre sedi di terapia e simultaneamente in famiglia e a scuola. Nel contempo, la necessità di rendere realizzabile nel maggior numero possibile di regioni questo tipo di intervento, ci ha indotto a svolgere gli incontri in più di un’area geografica del territorio nazionale (e da poco, anche internazionale), così da consentire ad una più ampia fascia di utenza di usufruire dei nostri servizi senza dover sottoporsi a spostamenti troppo lunghi, di conseguenza costosi e alla lunga meno realizzabili.
Le nostre attuali modalità operative di quello che potremmo definire un Intervento Foniatrico Integrato per l’autismo, sono pertanto identificabili e riassumibili nei seguenti punti:
– Figura medica di riferimento: Foniatra.
– Operatori: Logopediste. Psicomotriciste. Psicologhe. Musicoterapiste. Educatrici. Insegnanti. Insegnanti di sostegno.
– Formazione specifica: incontri di formazione di base per due anni, più tirocinio pratico presso le
nostre sedi.
– Necessità di aggiornamento continuo.
– Rapporto libero-professionale sempre soggetto a revisione.
– Rotazione degli operatori nelle diverse sedi lavorative.
– Tutti operano nella stessa direzione e con le stesse modalità, ma ciascuno secondo le proprie
matrici formative e culturali.
– Partecipazione attiva delle famiglie.
– Rapporti con le scuole.
– Aggiornamenti-monitoraggi continui attraverso riunioni periodiche nelle diverse sedi.
Infine è il caso di sottolinerare che un simile modello operativo può considerarsi applicabile non solo nel caso dell’autismo, ma anche di quadri sindromici di confine, quali i deficit attentivi con iperattività, i ritardi comunicativi anche senza eclatanti componenti autistiche, altre comunicopatie coinvolgenti i già citati versanti (percettivo, cognitivo, prassico-espressivo, relazionale-comportamentale) del profilo comunicativo.

Prof. Massimo Borghese
Foniatra
 





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