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domenica, 22 Dicembre 2024
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Acufeni e Ménière, quella volta che ho guidato per 3.200 chilometri

Acufeni e Ménière, la parola d’ordine è “non arrendersi mai”

Avresti mai pensato di affrontare una sfida impegnativa, come guidare per 3.200 chilometri su e giù per l’Italia, soffrendo di Acufeni e Ménière?

Be’, io l’ho fatto, anche se con qualche precauzione, non sono incosciente a tal punto da ignorare il possibile materializzarsi di qualche spiacevole conseguenza…

Com’è andata precisamente

E’ andata che volendo raggiungere la Sicilia, e dovendo partire dal Nordest d’Italia, la scelta del mezzo di cui servirsi per affrontare il viaggio è caduta sull’auto di famiglia, come si faceva una volta quando l’aereo era ancora un lusso per pochi eletti.

E il treno era né più né meno quello di adesso, anzi forse meglio allora, quando c’erano ancora i mitici Wagon lits, ma poi, giunti sul posto, c’era sempre bisogno di un mezzo di trasporto adeguato per superare distanze che laggiù sembrano e sono interminabili.

Dunque l’auto. Appena fatto il tagliando, olio e freni a posto, si può partire.

Chi guida? La domanda è d’obbligo, stante il fatto che soffro di Acufeni e Ménière e che indosso apparecchi acustici, ma questo è un altro discorso.

Guido io, perché ho paura a lasciare guidare un’altra persona

L’altra persona è mia moglie, il solito maschilista retrogrado italiano. Non credo sia così, ma passi.

Però, tenuto conto di Acufeni e Ménière, ho bisogno di sentirmi sicuro per ogni evenienza, non affronterei mai un viaggio così lungo da solo, date le circostanze.

Sfida nella sfida, decidiamo di coprire i 1.600 chilometri che ci separano dalla meta facendo soltanto una tappa intermedia, fissata e prenotata nella ridente (ma de che?) località di Sala Consilina alle porte delle tortuose Calabrie.

La prima tappa, partenza nel cuore della notte, corre liscia come l’olio, alla guida sono sempre io.

Nessun problema, vertigini, nausea tacciono, gli acufeni sono sotto controllo, gli apparecchi acustici sono sul programma per auto, il più silenzioso, tranquillità assoluta.

L’arrivo al traghetto a Villa San Giovanni

In vista della costa siciliana serpeggia un certo nervosismo. Nella norma.

Come sarà la traversata, e soprattutto quanto tempo ci vorrà per imbarcarsi, e come si fa a raggiungere la corsia Telepass che dovrebbe consentire un accesso più rapido alla nave?

Domande che si riveleranno tutte pienamente giustificate, dal momento in cui il serpentone che esce dalla Salerno-Reggio Calabria si riversa alla rinfusa sulle stradine che portano alla banchine d’imbarco.

“Donde sta el Telepass?”

Riusciranno i nostri eroi, già frastornati da un lungo viaggio, a imboccare la corsia giusta, districandosi fra centinaia di auto e camion che procedono disordinatamente?

Quando appare finalmente l’indicazione del Telepass mi rendo conto di essermi incanalato nella corsia giusta senza neppure saperlo, ci siamo.

Calma, calma, è tutto OK, Acufeni e Ménière non si fanno sentire, a parte quel lieve malessere in pancia, già conosciuto per antiche frequentazioni, e che potrebbe rappresentare un’avvisaglia, un allarme, per ora soltanto latente.

Il fatto è che qui tutti sembrano avere il Telepass, strano, considerato che ai caselli autostradali a esserne fornita è soltanto una sparuta minoranza di automobilisti.

Mia moglie comincia a innervosirsi perché la distanza fra le auto si riduce sempre più da tutti i lati, non ci verranno mica addosso?

Sono passato troppe volte per questo Stretto e so quindi bene quali sono le regole da adottare: si guarda il resto del mondo con la coda dell’occhio, ignorando chi sta a destra e a manca, andrà tutto bene, nessuno si è mai fatto male qui.

Chi non dispone del Telepass all’ultimo momento svicola come previsto, cambia inopinatamente corsia, operazione che altrove causerebbe un disastro, ma qui è tollerato, tutti teniamo famiglia e stasera dobbiamo pur essere sull’altra sponda.

Mia moglie, che non ha affrontato mai prima d’ora lo Stretto in macchina, comincia a rivedere le sue ferme posizioni di deciso contrasto al Ponte sullo Stretto, se ci fosse il ponte saremmo già dall’altra parte, anche se mi permetto d’avanzare qualche dubbio…

Adesso tocca a noi, siamo sotto la colonnina del Telepass, ma l’enorme SUV davanti alla nostra utilitaria si scopre all’ultimo istante senza l’armamentario d’ordinanza, è costretto a retrocedere, mia moglie perde le staffe, inizia a gesticolare per l’evidente scorrettezza, teme ci fracassino l’auto, posso affermare tranquillamente che ha smarrito il controllo (per fortuna guido ancora io).

Alla fine, oltrepassata la barriera Telepass (ma il vantaggio rispetto alle altre corsie è ridicolo perché poi si confluisce in un’unica fila) e dopo un’estenuante guida a singhiozzo di oltre un’ora sotto il sole d’agosto, ci imbarchiamo sani e salvi.

Il nervosismo si taglia a fette, la mia pancia borbotta, tengo duro. Mia moglie ce l’ha con tutto il mondo di qui, e pronuncia la sua frase, perentoria e fatidica, che contraddistingue tutte le volte le sue capatine al Sud: «Voi non cambierete mai!», ma che glielo dici a fare, commento esausto e indispettito…

Al Porto di Messina, nel traffico bloccato da arrivi e partenze

La paura di non farcela arriva sulla sponda siciliana, quando realizzo che, se tutto va bene, per guadagnare l’ingresso dell’autostrada ci metteremo ore.

Il traffico è infatti bloccato in città, tra semafori, vigili fischiettanti, automobilisti sbandati, fuori dai gangheri e perciò più pericolosi di sempre.

Potrebbe accadere adesso. E se si materializzasse adesso? Calma, è tutto sotto controllo, ma la pancia ringhia, è in subbuglio, so che vuol dire, sono al limite.

Fermarsi è fuori discussione, bisogna andare avanti e stringere i denti (se servisse per bloccare una crisi di Ménière…).

Alla fine riusciamo a svicolare e, miracolo, raggiungiamo il primo posto di ristori in autostrada senza troppi intoppi.

Riposo, spuntino d’ordinanza, leggero, Perlmutter non va in vacanza (la sua dieta mi è diventata familiare).

Si riparte. Iniziano le gallerie. Strette, non sempre ben illuminate, le auto sfrecciano veloci da ogni parte, gli Acufeni vanno a mille, pericolo pericolo pericolo pericolo.

Accosto per emergenza, per fortuna c’è la corsia apposita, segnalo con tutte le luci possibili, ci scambiamo alla guida, la crisi parte alla grande

Devo aver vomitato per tre ore di seguito.

Ti risparmio il viaggio di ritorno che è andato più o meno allo stesso modo, salvo che ho ceduto più spesso la guida a mia moglie (meno male che era con me…, ma senza di lei non sarei neppure partito, ovvio).

Morale della favola, caso mai ce ne fosse una…

So perfettamente cosa stai pensando: “Con Acufeni e Ménière, me ne starei chiuso in casa, lontano dal traffico e farei viaggi brevi, semmai attorno all’isolato…”

Invece no, io non la penso così. E in più, porto anche gli apparecchi acustici, ma non mi lascio bloccare da una stupida crisi.

Però, se dovessi rifarlo, e ci puoi contare che lo rifarò, prenderei qualche precauzione in più.

    1. Dividerei il viaggio in più tappe per evitare di accumulare stress inutilmente.
    2. In assoluto non andrei mai da solo per un viaggio così impegnativo ma sempre accompagnato da chi possa darmi il cambio alla guida
    3. Seguirei una dieta leggerissima (anche in occasione delle tappe per la notte. A Sala Consilina ci hanno ammannito un menu diabolico, tutta roba della casa, genuina, prodotti locali, ma in quantità industriale, e guai a dire che non puoi, è un’offesa da lavare nel sangue o nel vino, ma non so cosa si sia peggio a questo punto)
    4. Mi munirei di una buona scorta di Plasil, sempre a portata di mano (ma non si guida col Plasil…, non si può, fortemente sconsigliato)
    5. Scorte anche di sacchetti igienici, come quelli che una volta trovavi sugli arei, per ogni evenienza di crisi menierica (e conseguente vomito)
    6. Sufficiente dotazione di acqua da bere durante il viaggio, anche ripetutamente, anche quando non hai sete
    7. Cedere assolutamente la guida in caso di gallerie ricorrenti perché lo spostamento d’aria e il frastuono all’interno altera la pressione sui timpani con inevitabili fastidi e ripercussioni sull’equilibrio
    8. Terrei conto della “ciclicità” del Ménière: se è un periodo no (e chi ne soffre sa bene di cosa sto parlando), rimanderei il viaggio a data da destinarsi
    9. La crisi di Ménière è in genere preceduta da segni premonitori (per me già dal mattino quando metto il primo piede per terra), non tenerne conto può essere molto pericoloso
    10. Coltivare la convinzione che, oltre a vomitare (l’anima), se si è in un posto protetto come l’automobile (ma non alla guida naturalmente), nulla di più grave potrà avvenire. La crisi, prima o poi, passa. Non è successo nulla…

Quindi in un certo senso una morale c’è, ed è che in ogni caso non mi lascerei condizionare dalla paura che le crisi si verifichino (a meno di segni premonitori evidenti) proprio durante il viaggio.

Che deve essere comunque un’occasione per godersi la vita, e non una gara a chi arriva prima.

Che ne pensi?

[by Acufeni, che fare?]

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