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martedì, 16 Luglio 2024
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Arriva da Napoli l’App che misura l’udito

Giovanissimi, non ancora laureati e già fenomeni della programmazione, tanto da trasformare uno smartphone in un dispositivo medico di nuovissima generazione. E soprattutto, ca vans sans dire, da rivoluzionare l’intero mercato di riferimento. Non è l’ennesima storia made in Silicon Valley, ma è rigorosamente made in Naples. Raffaele De Biase e Antonio Curci, ingegneri biomedici classe 1987, hanno sviluppato un app in grado di ottimizzare un iPhone in un vero e proprio audiometro. Il software si chiama Pocket-Audiometer e costa 29,99 euro a fronte dei 3.000 di un audiometro tradizionale. Un bel risparmio, non c’è che dire. Ma alla convenienza economica si aggiunge quella in termini di produttività. L’app, infatti, consente ai medici di creare un database a portata di telefonino con tutti gli indicatori dei propri pazienti, bypassando farraginosi archivi e spesso introvabili cartelle cliniche.“È la prima applicazione nel suo genere”, spiega Curci, informatico sin da quando era bambino e ora a quattro esami alla laurea magistrale in Ingegneria biomedica.

“Tramite iPhone e cuffie in dotazione – dice – permette agli addetti ai lavori di effettuare un completo ed affidabile test audiometrico. Dall’esame separato dell’orecchio sinistro e destro alla creazione e condivisione dei grafici di riferimenti , l’applicazione permette quindi all’operatore di effettuare un completo e reale esame”. In effetti è proprio questo il piatto forte di Pocket-Audiometer, quello di potersi rivolgere come un affidabile strumento di lavoro ai professionisti sanitari. La differenza di prezzo non incide affatto sulla qualità dell’audiometro in formato iPhone, come ha certificato la stessa autorità americana sui farmaci. Per ospitare l’app nel proprio store, la Apple ha infatti dovuto sottoporre il software alla Food and Drug Administration perché di fatto l’app trasforma il telefonino in un dispositivo medico portatile.
Un mercato in crescita

L’idea di dar vita a un audiometro “tascabile” è nata dall’incontro dei due giovani con il dirigente di Chirurgia dell’orecchio dell’Ospedale Cardarelli, Morando Morandi. “Ci siamo messi a tavolino e in un mese siamo riusciti a sviluppare e testare questa applicazione. Incoraggiati dal successo che sta ottenendo Pocket-Audiometer allo store, ora stiamo pensando già alle prossime”. E fanno bene, perché se c’è un mercato che non da segni di sofferenza, Italia compresa, è proprio quello delle applicazioni per smartphone. Nel 2011, secondo i dati presentati il mese scorso dall’osservatorio del Politecnico di Milano, il giro d’affari dell’internet mobile nostrano ha superato quota 800 milioni di euro e fatto registrare un rialzo del 52 per cento rispetto all’anno precedente, con analoghi tassi di crescita anche per quest’anno. In piena salute, è il caso di dirlo, il settore dell’healhtech. Secondo un report di Abi Research, pubblicato a fine del 2011, il mercato mondiale di app mediche è destinato a quadruplicare entro il 2016, passando dai 120 milioni di dollari dello scorso anno a 400 milioni di dollari nel 2016.
Burocrozia contro di noi
Giovani, innovatori e desiderosi di fare impresa, peraltro in un settore che non conosce crisi. Gli ingredienti per la creazione di un’impresa di successo ci sono tutti, ma di mezzo c’è un ma grosso come solo la burocrazia italiana sa essere. Si è fatto un gran parlare della Srl semplificata come strumento per rilanciare l’attività imprenditoriale in Italia. Novità introdotta dal decreto sviluppo, chi ha meno di trentacinque anni può aprire una Srl con meno di un euro, senza spese né per l’iscrizione al Registro delle imprese e neanche per le pratiche notarili. “È tutta una bufala” osserva con rammarico Curci. “Proprio in vista dei buoni riscontri di mercato abbiamo subito pensato di costituire una società, ma abbiamo incontrato enormi difficoltà. La stessa Srl semplificata non funziona, è vero che basta pagare un euro per aprirla, ma poi occorre pagare 10mila euro nel corso dell’anno fiscale con un tasso al 20 per cento. Sono costi troppo alti, senza dire degli impicci burocratici che dovremmo affrontare. Abbiamo venticinque anni, alla costituzione di una start-up penseremo più in là”.

Ecco, non sono i cervelli a fare la differenza tra noi e la California. È che qui tutto fa pensare che ci sia un clima ostile all’impresa.


Fonte: www.denaro.it
(04/08/2012)





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