La logopedia che non vorrei più vedere è quella ancora considerata come un semplice correggere difetti di pronuncia a bambini che non parlano; quella che ignorando i principi basilari di se stessa, ignora che deve essere indicata, prescritta, e utilizzata anche e soprattutto per bambini che non hanno ancora sviluppato linguaggio, e non solo per bambini che parlano male.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si allinea con quanti affermano che “è presto” per cominciare, o che occorre prima che un bambino diventi attento e partecipe, per poi avviare il lavoro sul linguaggio.
La logopedia che non vorrei più vedere, è quella che viene erogata con il contagocce, in misura di una, massimo due sedute settimanali, a bambini con gravi ritardi della comunicazione, con autismo, paralisi cerebrali, che necessiterebbero invece di tante tante ore settimanali di logopedia.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella effettuata da terapiste che, con tanto di camice bello e stirato, si limitano a seguire bambini con disturbi dell’apprendimento, dichiarando di essere “specializzate” in quel settore, ma risultando completamente restie e incapaci a mettere anche un solo dito nella bocca di un bambino per impostargli un fonema, o per insegnargli a masticare e a deglutire.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che rifiuta di offrirsi ai bambini con autismo, ignorando che i più grandi risultati nel recupero degli autistici sono arrivati proprio da quelle (purtroppo poco numerose) logopediste che invece hanno lavorato presto e molto, nei primissimi anni di vita di bambini affetti da tale patologia.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che critica i trainers vocali bravi, proponendosi, di contro, con arroganza, supponenza e ignoranza, provocando più danni che benefìci ai cantanti sui quali vuol mettere mano senza competenze né musicali né di altre tecniche utili a questo tipo di lavoro.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che critica i trainers vocali bravi, proponendosi, di contro, con arroganza, supponenza e ignoranza, provocando più danni che benefìci ai cantanti sui quali vuol mettere mano senza competenze né musicali né di altre tecniche utili a questo tipo di lavoro.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che utilizza ancora sacchetti di sabbia, voluminosi libri, o pesi di ogni genere, per appesantire l’addome del malcapitato cantante o allievo che sia, imponendogli faticose escursioni inspiratorie ed espiratorie, ignorando che questi sistemi ormai obsoleti, sono stati superati da modelli di intervento più leggeri e dinamici.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che tratta i disturbi della voce utilizzando ancora candele sulle cui fiammelle far soffiare il malcapitato cantante o semplicemente soggetto con disturbi di voce, aumentando così solamente la costrizione a valle dello sforzo laringeo, ignorando, come sopra, che si tratta di sistemi obsoleti e sconfessati dall’esperienza di chi veramente sa come si approcciano le disfonie.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che innesca tensioni muscolari anziché opportuni interventi rilassanti e muscolarmente armonizzanti nei professionisti della voce.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si veste di presunzione, di arroganza, che si arrocca su convinzioni più teoriche che pratiche, o si fossilizza su modalità operative rimaste in un passato superato, ma ancora vissuto da chi, con ignoranza, indolenza e supponenza, ignora tutto ciò che di nuovo e di valido sia stato scoperto e già da tempo utilizzato con successo.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si veste di presunzione, di arroganza, che si arrocca su convinzioni più teoriche che pratiche, o si fossilizza su modalità operative rimaste in un passato superato, ma ancora vissuto da chi, con ignoranza, indolenza e supponenza, ignora tutto ciò che di nuovo e di valido sia stato scoperto e già da tempo utilizzato con successo.