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giovedì, 21 Novembre 2024
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Soffri di Ménière? Per favore non guardare quella mostra…

Se soffri di Ménière devi prendere qualche precauzione

Se soffri di Ménière, come me, ti sconsiglio di andare a vedere la mostra di Ettore Sottsass (Isola di S.Giorgio Maggiore, Venezia, Fondazione Cini).

«LE STANZE DEL VETRO celebrano la produzione vetraria di Ettore Sottsass (1917-2007), nel centenario della sua nascita, con la mostra, a cura di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, “Ettore Sottsass: il vetro”.» Così si legge nella presentazione.

Mostra bellissima e godibilissima: per colori, forme, invenzioni, esaltazione del materiale vetro, e di chi sa trarne dal nulla opere in-utili e perciò prive di ogni aspetto utilitaristico, cioè finalizzato a rappresentare se stesse, non c’è giudizio neppure estetico, a che serve? a niente.

La Sindrome di Stendhal

Sarà stato per questo, per questo aggirarsi nella vacuità epperò profonda delle forme e dei colori, che sono stato sopraffatto a un certo punto dalla Sindrome di Stendhal (come non bastasse quell’altra conosciutissima sindrome che mi appartiene, Ménière intendo) che alla fine mi ha tolto il respiro.

Secondo Wikipedia infatti «La sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze (città in cui si è spesso manifestata), è una affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati

Ora si dà proprio il caso che la mostra “Ettore Sottsass: i Vetri” presenti un vastissimo numero di opere, e che queste siano concentrate in uno spazio ristretto e che le sale si susseguano una dopo l’altra a un ritmo incalzante.

Ecco perché avrei dovuto prendere alcune precauzioni e che queste non avrebbero dovuto essere limitate a qualche stupida compressa di Plasil che fa ormai parte della mia dotazione d’emergenza (oltre naturalmente all’immancabile sacchetto, ove dovesse intervenire qualche rigetto, cosa che è puntualmente accaduta anche ieri, e come non avrebbe potuto accadere, ti pare?).

Dall’innesco della sindrome in avanti. Se soffri di Ménière sai di cosa parlo…

Sarà stato il caldo della giornata assolata, il numero straripante dei turisti nella povera Venezia che non ne regge l’urto, il frastuono e a volte lo scempio, e poi il freddo sparato dai condizionatori all’interno della mostra, non si sa mai che i Vetri del Maestro soffrano il caldo, fatto sta che alla fine della mostra, prima di ritirare lo zainetto al guardaroba, si è fatta viva quella impercettibile percezione che qualcosa stava per accadere, se soffri di Ménière sai bene di cosa parlo.

Da quel momento in poi, a opera non saprei se di Stendhal o Ménière, uffa questi francesi!, si è innescata un’avventura degna di essere raccontata ai quattro miei affezionati lettori. OK, non bisogna farne per forza un dramma anche nei momenti più difficili e complessi.

Seduto su una panchina sotto il sole

Giusto il tempo di trovare una panchina, purtroppo sotto il sole, segue un periodo di assoluta e forzata immobilità, aggrappato come possibile alla spalliera della panchina, guai a muovere il capo, occhi a terra socchiusi, finché non torna utile quell’umile sacchetto d’emergenza. Sembra non ci sia null’altro da rimettere, ma non finisce qui.

Gentilmente qualcuno, un medico (quando si dice la fortuna!) si avvicina, poi due o tre componenti il personale della mostra. Fanno a gara a rendersi utili. Procurano una sedia a rotelle, mi spostano all’ombra (con le immaginabili conseguenze nel sacchetto d’emergenza).

La crisi non passa. Prima compressa di Plasil, immediatamente rigettata, colpo andato a vuoto.

Più tardi secondo Plasil anche questo va a vuoto.

Interviene il Pronto Soccorso della Serenissima

Non posso continuare così. Con mia moglie ci siamo serviti della ferrovia, com’è giusto fare per raggiungere Venezia, ma siamo a 200 chilometri da casa e avevamo preventivato il rientro in serata.

Urge rivolgersi al Pronto Soccorso. A Venezia arriva ovviamente in barca ma a sirene ugualmente spiegate.

Mi spostano fino all’imbarcadero (il sacchetto d’emergenza piange) e finalmente mi trovo in barca, ovviamente con il mal di mare che mi provoca Ménière, oltre all’infausto barcamenarsi del natante.

Viaggio interminabile alla volta del Presidio di Pronto Soccorso, durante il quale il diligentissimo infermiere d’ordinanza mi infila un ago in vena e mi somministra una fiala di Plasil oltre a una soluzione fisiologica.

Passa il tempo, perdiamo le speranze di acciuffare l’ultimo treno che ci riporti a casa in nottata. Acufeni ridotti

Alla visita medica risulta tutto regolare. Polso, battito, respiro, coscienza. Personale gentilissimo. Naturalmente sono perfettamente consapevole di quanto sto soffrendo, quasi quasi li rassicuro che non è niente di grave, anche se così fastidioso e imbarazzante, tutta scena, qualcuno dice isterica. Tentano di togliermi il sacchetto d’emergenza dalle mani ma so che non devo cederlo per nessun motivo al mondo, come capisco la copertina di Linus in questo momento, non saprei come spiegare la circostanza.

Resto in astanteria con una nuova flebo, più “scientifica” e meglio avvitata al braccio. Ancora nessun miglioramento. Non posso muovere il capo, difficile alzare lo sguardo, sono sistemato su una “confortevole” sedia da trasporto malati, non c’è che attendere.

Passa il tempo, la flebo va giù lenta. Mi tratterranno per la notte? Certo non posso muovermi. Certo non sto in piedi.

Come andrà a finire questa volta?

Ripasso a memoria: quella volta al Pronto Soccorso a Milano, la dottoressa Otorino voleva vederci chiaro e approfondire, ma non c’è il nistagmo! (al diavolo questo nistagmo perché non ho almeno quello, così si calmano?). Voleva ricoverarmi per accertamenti. Ma accertare cosa? E una volta accertato, cosa si fa? Ah nulla, è chiaro, non c’è nulla da fare se non pazientare.

Mi torna in mente quell’altra volta in vacanza in Croazia. Son venuti a prendermi in barella in spiaggia, poi solita flebo, ma almeno qui non parlavano, o io comunque non capivo. Il risultato in ogni caso è lo stesso.

La flebo scende piano. Poi succede qualcosa. Mi rincuoro. Se soffri di Ménière… Mi richiamano al cospetto del medico.  Mi sento in via di miglioramento. Riesco di nuovo a sollevare lo sguardo da terra, il Plasil in vena ha compiuto il miracolo. Mi fanno alzare in piedi, mi chiedono come sto, sulla parola, mi credono, sto meglio molto meglio. Mi dimettono.

Intanto si sono fatte le otto di sera. C’è ancora un ultimo adempimento burocratico: 25 € vanno alla Regione Veneto per il disturbo, perché il codice non è di quelli pericolosi, che so rosso o di un altro colore (ripenso inevitabilmente a tutti i colori dei Vetri di Sottsass).

All’uscita realizzo che siamo di fronte all’Isola che ospita il Cimitero monumentale di Venezia (San Michele in Isola), anche questa volta l’abbiamo scampata, al momento.

Riusciamo a prendere l’ultimo vaporetto per raggiungere la ferrovia, e per fortuna anche il penultimo treno della notte per tornare a casa secondo programma.

Tutto ritorna tranquillo. A parte il freddo pungente che patiamo in treno perché l’aria condizionata deve andare a manetta, altrimenti non si chiama estate.

Be’ in fondo è andata bene, non credi? Se soffri di Ménière non c’è che da prendere qualche precauzione: la prossima volta il Plasil me lo porto in fiale da iniettare all’istante in vena. Naturalmente, alla bisogna!

by Acufeni, che fare?

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