Sordità. Autismo. Due parole che spaventano, due patologie tra le più gravi nell’ambito dei disturbi della comunicazione; ma ben distinte, che quasi mai si incontrano; e che invece spesso intrecciano le proprie strade, anche se per lo più nelle ipotesi diagnostiche, patogenetiche, ed in alcuni errori interpretativi.
Venticinque anni di foniatria mi hanno consentito di vivere il mondo delle sordità infantili e quello dell’autismo in misura significativamente ampia per poter esprimere qualche opinione e qualche commento di una certa utilità pratica in tema di rapporti tra queste due forme di handicap.
A proposito, quando ci sono bambini con menomazioni sensoriali, o motorie, o cognitive, o relazionali-comportamentali, io parlo di handicap, di disabilità, utilizzando ancora questa terminologia tradizionale, che preferisco a quella più attuale, ma ipocrita, che ricorre a definizioni del tipo “diversamente abile”. Chi è affetto da sordità, o da paralisi, o da autismo, o da insufficienza mentale, purtroppo ha un deficit, un handicap, non una “diversabilità”. Evitiamo l’ipocrisia di definirlo eludendo ciò che innanzitutto lo limita, e cerchiamo piuttosto di trovargli, offrirgli e garantirgli ben altri compensi e recuperi di abilità, che non un pietoso nome alternativo ed edulcorato.
Tornando al rapporto sordità-autismo, vorrei richiamare innanzitutto l’attenzione su quanto non sia affatto difficile distinguere una situazione dall’altra. Chi veramente ha esperienza nel settore, avrà compreso subito che cosa intendo con questa affermazione. Chi ha veramente visto, diagnosticato e trattato bambini sordi e bambini autistici, avrà subito configurato nel proprio immaginario, piccoli pazienti con caratteristiche ben diverse tra gli uni e gli altri. Poiché si tratta di orientarsi, a livello diagnostico differenziale, su piccoli pazienti che nella migliore delle ipotesi giungono alla nostra osservazione poco dopo il compimento dell’anno di età, le due diverse situazioni hanno già assunto quelle connotazioni di base aventi già determinati tratti distintivi difficilmente confondibili. Raramente, pertanto, in presenza di un bambino che mostra già evidenti segni di autismo, mi affretto a prescrivere esami audiometrici. La diagnosi di autismo è soprattutto una diagnosi clinica, non strumentale. Se ho sospetti di sordità, antepongo la richiesta di indagini audiologiche a tutto il resto, ma -specularmente- in assenza di tale ipotesi diagnostica, cerco di sensibilizzare i genitori del bambino soprattutto ad una precocità di presa in carico abilitativa ed educativa in ben altre direzioni, non passanti attraverso un attardarsi ad effettuare analisi.
Un’altra distinzione che reputo opportuno segnalare, riguarda gli ipotetici nessi patogenetici tra sordità e autismo. Nei non numerosi casi di coesistenza delle due patologie nello stesso bambino, mi è capitato di sentire, in più di un’occasione, che era stato prospettato un innesco della sindrome autistica da parte dell’ipoacusia profonda. Mi sento di smentire decisamente l’esistenza di una possibilità del genere. Escludo l’esistenza di un “autismo da sordità”. La maggior parte dei sordi non ha subito e non subisce alcuna evoluzione verso l’autismo, la maggior parte degli autistici non è composta da sordi, soprattutto se per sordità classicamente intesa intendiamo la sordità da danno cocleare. Ma in ogni caso anche le forme di sordità centrale, ossia quelle da danno della via uditiva centrale o della corteccia temporale, in presenza di sindrome autistica non costituiscono che una componente del quadro clinico generale, senza identificarne né le causa né la connotazione unica.
Aggiungo anche che l’incidenza percentuale di sordi in una popolazione di autistici è numericamente sovrapponibile all’incidenza di sordi in una popolazione di soggetti non autistici.
Solo per completezza di informazione e di trattazione dell’argomento, segnalo ancora di aver visitato in alcune zone a particolare rischio di inquinamento ambientale (bambini nati da genitori che vivevano o lavoravano presso un polo petrolchimico) una maggiore quanto anomala concentrazione di bambini affetti da sordità, autismo ed altre malformazioni tra le quali la labiopalatoschisi.
Ma tutto ciò nulla toglie né aggiunge a quanto intendevo affermare, e cioè che sordità e autismo si manifestano clinicamente in maniera ben diversa e quindi facilmente distinguibile, e che, quando presenti nello stesso soggetto, costituiscono il frutto di una coesistenza al più riferibile a qualche situazione genetica rarissima che potrebbe dare un avvio comune alle due affezioni, così come potrebbe accadere in conseguenza di eventi neurolesivi neonatali (eccessiva prematurità, spesso accompagnata da emorragie cerebrali) o di embrio-fetopatie da tossici, da infezioni; ma non per un innesco dell’una nei confronti dell’altra.
Venticinque anni di foniatria mi hanno consentito di vivere il mondo delle sordità infantili e quello dell’autismo in misura significativamente ampia per poter esprimere qualche opinione e qualche commento di una certa utilità pratica in tema di rapporti tra queste due forme di handicap.
A proposito, quando ci sono bambini con menomazioni sensoriali, o motorie, o cognitive, o relazionali-comportamentali, io parlo di handicap, di disabilità, utilizzando ancora questa terminologia tradizionale, che preferisco a quella più attuale, ma ipocrita, che ricorre a definizioni del tipo “diversamente abile”. Chi è affetto da sordità, o da paralisi, o da autismo, o da insufficienza mentale, purtroppo ha un deficit, un handicap, non una “diversabilità”. Evitiamo l’ipocrisia di definirlo eludendo ciò che innanzitutto lo limita, e cerchiamo piuttosto di trovargli, offrirgli e garantirgli ben altri compensi e recuperi di abilità, che non un pietoso nome alternativo ed edulcorato.
Tornando al rapporto sordità-autismo, vorrei richiamare innanzitutto l’attenzione su quanto non sia affatto difficile distinguere una situazione dall’altra. Chi veramente ha esperienza nel settore, avrà compreso subito che cosa intendo con questa affermazione. Chi ha veramente visto, diagnosticato e trattato bambini sordi e bambini autistici, avrà subito configurato nel proprio immaginario, piccoli pazienti con caratteristiche ben diverse tra gli uni e gli altri. Poiché si tratta di orientarsi, a livello diagnostico differenziale, su piccoli pazienti che nella migliore delle ipotesi giungono alla nostra osservazione poco dopo il compimento dell’anno di età, le due diverse situazioni hanno già assunto quelle connotazioni di base aventi già determinati tratti distintivi difficilmente confondibili. Raramente, pertanto, in presenza di un bambino che mostra già evidenti segni di autismo, mi affretto a prescrivere esami audiometrici. La diagnosi di autismo è soprattutto una diagnosi clinica, non strumentale. Se ho sospetti di sordità, antepongo la richiesta di indagini audiologiche a tutto il resto, ma -specularmente- in assenza di tale ipotesi diagnostica, cerco di sensibilizzare i genitori del bambino soprattutto ad una precocità di presa in carico abilitativa ed educativa in ben altre direzioni, non passanti attraverso un attardarsi ad effettuare analisi.
Un’altra distinzione che reputo opportuno segnalare, riguarda gli ipotetici nessi patogenetici tra sordità e autismo. Nei non numerosi casi di coesistenza delle due patologie nello stesso bambino, mi è capitato di sentire, in più di un’occasione, che era stato prospettato un innesco della sindrome autistica da parte dell’ipoacusia profonda. Mi sento di smentire decisamente l’esistenza di una possibilità del genere. Escludo l’esistenza di un “autismo da sordità”. La maggior parte dei sordi non ha subito e non subisce alcuna evoluzione verso l’autismo, la maggior parte degli autistici non è composta da sordi, soprattutto se per sordità classicamente intesa intendiamo la sordità da danno cocleare. Ma in ogni caso anche le forme di sordità centrale, ossia quelle da danno della via uditiva centrale o della corteccia temporale, in presenza di sindrome autistica non costituiscono che una componente del quadro clinico generale, senza identificarne né le causa né la connotazione unica.
Aggiungo anche che l’incidenza percentuale di sordi in una popolazione di autistici è numericamente sovrapponibile all’incidenza di sordi in una popolazione di soggetti non autistici.
Solo per completezza di informazione e di trattazione dell’argomento, segnalo ancora di aver visitato in alcune zone a particolare rischio di inquinamento ambientale (bambini nati da genitori che vivevano o lavoravano presso un polo petrolchimico) una maggiore quanto anomala concentrazione di bambini affetti da sordità, autismo ed altre malformazioni tra le quali la labiopalatoschisi.
Ma tutto ciò nulla toglie né aggiunge a quanto intendevo affermare, e cioè che sordità e autismo si manifestano clinicamente in maniera ben diversa e quindi facilmente distinguibile, e che, quando presenti nello stesso soggetto, costituiscono il frutto di una coesistenza al più riferibile a qualche situazione genetica rarissima che potrebbe dare un avvio comune alle due affezioni, così come potrebbe accadere in conseguenza di eventi neurolesivi neonatali (eccessiva prematurità, spesso accompagnata da emorragie cerebrali) o di embrio-fetopatie da tossici, da infezioni; ma non per un innesco dell’una nei confronti dell’altra.
Grazie per questo articolo: il ragazzo che ho adottato è stato considerato autistico fino ai 5 anni e 1/2 e solo a quell’età è stato capito che era sordo. E’ un problema veramente grande questo, con rischi enormi….