I posteggiatori non sbaglieranno più, quando grideranno «Piano, dottore!» durante la retromarcia. L'annuncio «Dottoressa, le stanno portando via la macchina», in un ristorante, provocherà una sommossa: solo la cameriera resterà dov’è, e forse nemmeno lei. Visti gli stipendi dei neo-laureati, infatti, è probabile che molte giovani italiane decideranno di servire spaghetti e contorni. C’è da registrare una novità, gravida di conseguenze sociali. La novità è questa: la revisione del decreto che ha istituito il percorso universitario detto «3+2», approvata dalla Corte dei Conti e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, introduce nuove qualifiche accademiche. Il titolo di «dottore» spetterà ai possessori della laurea triennale. Chi prosegue gli studi e consegue la laurea magistrale e il dottorato di ricerca avrà diritto, rispettivamente, alla qualifica di «dottore magistrale» e di «dottore di ricerca».
NUOVI DOTTORI – Prepariamoci, dunque: la Penisola verrà attraversata da raffiche di sdottoreggiamenti. Il titolo – sogno dichiarato di milioni di mamme, cruccio segreto di tanti che hanno abbandonato l’università – verrà rilasciato con più generosità. Chi sognava di ridurre l’uso pubblico delle qualfiche accademiche è servito. Festa grande, invece, tra quanti si sono iscritti all’università soprattutto per ottenere un titolo di studio (scopo raggiunto in soli tre anni, venticinque per cento di sforzo risparmiato). Tutto bene, quindi? Siamo giunti alla pacificazione sociale nel segno del «dottore»? Temo di no: il sottile classismo italiano troverà altre strade. I dottori di ricerca, che esistono anche negli altri Paesi, scopriranno che il titolo (sudato) è troppo comune, e cominceranno a farsi chiamare PhD, all’americana: così, giusto per non fare confusione. Anche i dottori magistrali – quelli che completano il 3+2 – vorranno distinguersi. Stamperanno «Dott. Mag.» sul biglietto da visita, magari: così qualcuno li scambierà per magistrati, che fanno sempre una certa impressione.
DOTTORI MAGISTRALI – Non è finita: se si è capito bene, il titolo di «dottore magistrale» spetterà anche a chi «ha conseguito la laurea con gli ordinamenti didattici previgenti al decreto 509/1999». Penso a molti fuori-corso degli Anni Ottanta, laureati a calci del sedere sotto ricatto di genitori esasperati, improvvisamente insigniti del titolo di «dottore magistrale». Se hanno un po’ di senso dell’umorismo, dovrebbero ridere. Non escludo, invece, che corrano a farsi la carta intestata. Ci aspettano giornate interessanti. Con tre diverse categorie di «dottori» (più i medici, poveretti, che hanno studiato sei anni, più specialità, per ritrovarsi con un titolo inflazionato) la nazione barocca darà il meglio di sé. Le persone importanti nasconderanno il titolo accademico (e poi cadranno malamente, accettando d'essere chiamate «vip»). Il dottor Rossi di Milano e il dottore (con la «e») Russo di Napoli metteranno in cornice il diploma di laurea in giurisprudenza, perché si veda che è stato conseguito prima del 1999. Ragionieri e geometri penseranno di rivolgersi alla Corte Costituzionale: come, e noi? Ma più di tutti si divertiranno gli stranieri. Già da tempo erano convinti che il prefisso «dott.», davanti al nome di una persona, indicasse che quella persona era italiana. Ora hanno la prova definitiva. Un tempo eravamo «il bel Paese là dove il sì suona» (Dante Alighieri). Oggi, dopo i condoni e le riforme accademiche, siamo «il Paese (un po’ meno bello) là dove riecheggia il dott.». Potrebbe essere un progresso, ma non siamo sicuri.
Fonte: Corriere della sera
di BEPPE SEVERGNINI